Ti è mai capitato – in una sera fonda e afosa di fine luglio – di prendere al volo un treno vuoto da nord a sud, dal finestrino guardare l’Italia, le luci lontane delle feste patronali, i suoni, gli odori di tutta quella gente che si muove ad ogni costo – come se fosse sul bagnasciuga di quel mare che vedi dal finestrino opposto – e in quel treno vuoto tu e la/il tua/o compagna/o per ritrovare quel dialogo che usa le parole di dentro, nascoste per pudore o per dimenticanza o per quello che vuoi tu, le uniche che possano riprendersi il senso del domani?

A me, no!

Però l’ho immaginato quando, con Enrico Fridlevski, ho scritto questa canzone per Gigliola Cinquett.
Siccome fa troppo caldo per tenerla chiusa nel dimenticatoio, ho pensato di canticchiarla, senza pudore, a modo mio per farle prendere un po’ d’aria.